sabato 17 novembre 2012

La Tigre




La Tigre

Lo squillo della campanella lo interruppe.
- Continueremo la prossima volta ragazzi.
Disse raccogliendo libri e fogli sparsi sull'ampia cattedra in legno massiccio, mentre dall'aula molti studenti iniziavano ad alzarsi.
- Ricordate, eentro venerdì voglio la relazione sui punti di convergenza tragica tra Shakespeare e De Sade e il ruolo della donna in relazione al loro pensiero.
Sorrise sentendo il mormorio infastidito di diversi studenti, soprattutto il piccolo gruppo in alto a destra. Quei giocatori della squadra di football avevano scelto il suo corso pensando che, essendo stato in passato un abile quarterback, avrebbe avuto un occhio di riguardo. Non avrebbero potuto sbagliare di più.
Teste di legno” Pensò. “Nemmeno in grado di leggere fluentemente Skakespeare, altro che comprenderne le sfumature”.
Una studentessa, Jennifer Logan, si avvicinò ancheggiando in una minigonna che nulla lasciava all'immaginazione. Si fermò davanti a lui, più vicina di quanto l'etichetta o il buon senso potessero consigliare e gli parlò con la bocca talmente vicina che, non solo sentì il profumo della gomma alla menta, ma anche un sentore di cioccolato, probabile ripieno delle ciambelle della sua colazione.
- Professore, ricorda? Aveva promesso di mostrarmi le sue copie antiche di Amleto e Otello? Io nel pomeriggio sarei libera.
Sì, libera di farti sbattere per ore sul mio divano immagino. Puttanella
Pensò, ma sorridendo rispose:
- Mi dispiace, oggi non è possibile, ho un appuntamento irrinunciabile, ma venerdì sera sarò libero. Ti aspetto alle sette.
E così vedremo se sei apparenza o se sotto quella gonna c'è davvero del fuoco che arde
Disse tra sé, allontanandosi.
Richard Winthrop, professore emerito, lasciò l'imponente edificio della facoltà di letteratura della Miskatonic University per dirigersi al parcheggio del campus, da dove, tra gli sguardi curiosi e ammirati degli di studenti in giro, uscì rombando sulla sua Porsche blu.

lunedì 29 ottobre 2012

Sete Perversa



SETE PERVERSA

Lievi , profondi ansiti risuonano ritmici nel silenzio della stanza, seguendo in perfetta armonia il tempo lento e sinuoso del movimento sussultorio del suo corpo sopra il mio.
Ho sempre amato questa posizione, è l'unica che mi consente di mantenere una sufficiente lucidità mentale da dedicarmi all'osservazione, che mi consente di miscelare al piacere della penetrazione quello puramente mentale dello svelare, valutare e godere dei movimenti, della totale libertà della donna nell'atto.
E' veramente meraviglioso guardare così il suo corpo, che si inarca ad ogni sussulto, i suoi occhi che si chiudono mentre lei si perde nell'estasi, inoltrandosi in un mondo personale fatto di solo piacere, soli stimoli sensoriali ed elettricità pura, le sue labbra che trattengono a fatica il lamento, i muscoli delle cosce che si irrigidiscono in armonia con quelli vaginali stringendomi contemporaneamente inguine e corpo, come una doppia matrioska umana.
La sento ora avvicinarsi sempre di più al culmine mentre osservo la sua vena del collo pulsare, la mia mente si sintonizza quasi con lo scorrere impetuoso del suo sangue e così i miei pensieri tornano torbidi e perversi.

lunedì 15 ottobre 2012



Microracconti in 10 righe

Piccoli esercizi di scrittura dalla pagina “Microracconti segreti” di facebook, racconti che devono restare entro le 10 righe di lunghezza, spesso con un tema predefinito




Tema “l'ultimo valzer”




Vienna 1836

La contessina volteggiava leggiadra tra le mie forti braccia. Il suo abito rosa di raso e chiffon era lieve come seta e la mia mano destra, peccaminosamente e molto poco cavallerescamente le sfiorava il morbido sedere, celato sotto quella massa di stoffa. Nella mia uniforme di gala splendevo letteralmente sotto le luci del salone. “Capitano, mi state facendo davvero volare”. Mi disse con un sorriso malizioso. “Se mi concedeste almeno un bacio, dopo quest'ultimo Valzer saprei condurvi ancora più in alto”. Mi sfiorò appena il collo con le labbra, quindi terminata la musica fuggì da me, ancora una volta. Uscii dal palazzo. Le stelle autunnali sembravano ridere della mia solitaria eccitazione.
Mormorai tra me: 'Computer, termina il programma Vienna 1836 e ricarica Bordello Spaziale di Antares Quarto'







L'ultimo sarà mio

Allora, hai letto il nuovo tema dei micro?”
“Certo, ho un'idea geniale, ascolta: Lei attende, bellissima e affascinata dalla situazione. Noi siamo in quattro a disputarci l'ultimo, il più ricercato, irrinunciabile. Così ci battiamo per averlo, sfoderiamo le spade e il duello incalza. Finto, rinterzo, schivo, affondo e al fin della licenza io tocco! Così uno dopo l'altro li sconfiggo tutti e, assoluto vincitore, mi avvicino a lei.”
“Bello, mi piace, e dopo che accade?”
“Con fare sprezzante e sorriso vincente lo prendo con presa ferma dalle sue dita e lo divoro in un sol boccone, assaporando quel gusto irripetibile di crema al cioccolato e friabile sfoglia!”
“Il tema era l'ultimo valzer, non l'ultimo wafer! Pirla!”




mercoledì 10 ottobre 2012



ARTURO



Passare attraverso l'opaca, lucente barriera di energia fece vibrare la placca di fibracciaio celata sotto la mia spalla destra, ricordandomi per un fugace momento, come sempre succedeva, gli orrori della battaglia alle porte di Tannhauser.
Quindi dalla silenziosa, bianca asetticità del corridoio verde 17, della base spaziale Spazio Profondo 9, mi ritrovai nel caotico, rilucente, speziato, fumoso coacervo di umanità e alienità della Cantina di Mos. Come d'abitudine feci un solo passo in avanti, quindi mi fermai. Con un rapido ma profondo sguardo percorsi l'intero locale, valutando in pochi istanti tutti i presenti e catalogandoli mentalmente per grado di potenziale minaccia. Infine mi avviai lentamente, attraverso i numerosi e curiosi tavolini intagliati da singoli blocchi di cristalli di quarzo colorati di Altair Quarto, verso il bancone principale.
Quello che ai più sarebbe parso un tragitto casuale, era invece stato scelto con cura per poter passare alla giusta distanza ed osservare meglio quelle tre creature, tra le numerose del locale, che al primo sguardo potevano rappresentare un eventuale pericolo. Non ero sopravvissuto per trent'anni come cacciatore di taglie Pangalattico senza rendere istintivo lo studio costante di ogni luogo in cui mi trovavo.

lunedì 17 settembre 2012

 
 
 

Nuda e Cruda


L'acqua nella pentola bolle, scaldando il polsonetto di rame a bagnomaria. Con la frusta a mano sbatto rapido, in modo rotatorio i tuorli con lo zucchero, montando piano lo zabaione al moscato, il cui profumo si diffonde caldo e stuzzicante per la cucina. Tu sei seduta sull'alto sgabello in legno dello stretto tavolo a penisola, prolungamento a L dei fuochi che troneggiano al centro della stanza, così possiamo guardarci e chiacchierare mentre cucino per te. Come sempre sei completamente nuda. Ormai è più di un anno che ci gustiamo così le nostre cene, il nostro gioco complice.
Iniziò con una sfida. Era da parecchio che la nostra amicizia virtuale impegnava piacevolmente il nostro tempo e avevamo scoperto molto delle reciproche passioni, affinità e piaceri, tra cui la cucina. Avevo rimarcato più volte la mia abilità ai fornelli, così fu quasi scontato che un giorno mi chiedessi di invitarti a cena. In fondo era da tempo che avevamo deciso finalmente di incontrarci. Ciò che mi aveva spesso frenato era la consapevolezza che tu fossi più giovane e, come sapevo, molto bella, forse troppo. Inoltre mi avevi raccontato spesso del tuo approccio libero alla sessualità e di come il più delle volte preferissi non rivedere gli uomini con cui condividevi il piacere.
- Ma se io cucino per te, tu cosa farai per me? -
Ti dissi quando l'appuntamento per la nostra prima cena da me era ormai fissato. Conoscevo il tuo amore per il gioco e sapevo che avresti colto la mia sfida.
- Tu cosa vorresti che facessi? -
Rispondesti, con la tua voce così sottilmente erotica, con quel leggero accento che le tue origini Magiare conferivano al tuo italiano altrimenti perfetto.
- Vorrei che cenassi nuda, completamente nuda -

domenica 9 settembre 2012

Simply Red

 
 

Simply Red

Holding back the years,
Thinking of the fear I've had for so long.
When somebody hears,
Listen to the fear that's gone.

Guardo la mia mano, fletto le dita e le appoggio sulla porta. Percepisco perfettamente le sottili venature sotto i polpastrelli, accarezzo poi la superficie, fresca e lucida. So che i paradiso mi attende oltre la soglia, quindi scosto la porta, piano. Il liscio pannello di legno di ciliegio laccato scivola silenzioso verso destra scorrendo nelle sue guide, parallelo alla parete rivestita anch'essa dello stesso legno rossiccio. La grande stanza che scopro è quasi vuota, eppure calda e accogliente. Una grande, magnifica vasca ovale in marmo bianco, incassata profonda nel parquet, troneggia al centro e una leggera brezza marina mi accoglie, solleticando il mio viso e i miei capelli attraverso le grandi aperture porticate della parete di fronte. Appena oltre la stanza le scurissime rocce vulcaniche della scogliera precipitano a perdifiato verso il mare spumoso, azzurro e blu, le cui onde s'infrangono sui molti pinnacoli rocciosi che, come zanne sepolte di immani bestie primordiali, rompono la monotonia del mare innalzandosi neri e lisci contro l'azzurro del cielo. Un sole rosso, piccolo e intenso riflette se stesso sulle acque dell'orizzonte sfumandole di carminio e scaldando ai suoi raggi la mia pelle. Poi la vedo entrare e ogni altra cosa intorno perde consistenza nella mia mente.

mercoledì 29 agosto 2012

Bores contò il passaggio di undici monache e sette preti


Bores contò il passaggio di undici monache e sette preti.
Si mostrava capace col tempo e Marie aveva cessato ormai di angustiarsi per questa sua mania.
Restarono a lungo immobili, finché lui aprì la bocca, stizzito contro se stesso di mostrarsi così immusonito, chiedendosi, come sempre senza risposta, perché la sua mente non riusciva mai a mantenere un filo logico senza perdersi immancabilmente in oscuri voli pindarici.
Disse: << Io... non capisco. ma voi, però, avete fatto qualcosa?>>.
Aspirava e soffiava fuori il fumo. Tanto era grande lui, tanto piccola quella sottile sigaretta, un suo vecchio vezzo che mai aveva abbandonato.
Marie sorrise con uno sguardo complice: << in un modo, parola mia, di cui sono ancora adesso orgogliosa! Porta ancora il lutto di sua sorella!>>
Niente da fare, era una specie di estasi. Nel silenzio invernale inoltrato, il rimbombo del metrò che usciva imperioso dalla sua tana era ruvido, come il suo alito e le sue guance .
<< Non ti chiedo nulla, mi basta. >>
<< Prego? Ma se se stato tu a chiedermi che avevamo fatto. >>
<< Non vorrei essere testimone di fatti a me estranei, eppoi sei stata tu a voler raccontare >>
<< Eh? Ma tu guarda che stronzo, prima ascolti, poi chiedi, e adesso vuoi ritirarti?>>
<< Per riempire il silenzio posso tentare di ascoltarti. Se proprio ci tieni. >>
<< TU? Ma vaffanculo! >>
<< Grazie.. >>
<< PREGO! >>
Marie si alzò di scatto. Lui restò seduto sulla panchina sollevando lo sguardo su di lei mentre si allontanava freneticamente, un passo in linea con l'altro, le braccia aperte ad equilibrare un andamento leggermente alterato.
Era piccola, magra, armonica, con quelle gambe sottili, nervose che avrebbero eccitato qualsiasi uomo che l'osservasse camminare da dietro. Emanava un'irrefrenabile e naturale sensualità nel suo corpo, nel suo incedere. Aveva poi, in assoluto contrasto, uno sguardo fanciullesco, dolce, innocente e gentile. Lui invece aggrottava in quello strano modo verso l'alto le sopracciglia, così che la sua espressione normale sembrava sempre tesa all'implorazione.

domenica 26 agosto 2012

Cinquanta

 
 
 
 

Cinquanta


La macchina si ferma. E' un ragazzo piuttosto giovane che abbassa il finestrino elettrico. Non chiede nulla, mi guarda con un sorrisetto compiaciuto e aspetta solo che io gli dica il prezzo.
- Cinquanta -, dico con voce stanca.
Lui si allunga verso di me facendo di sì con la testa e mi spalanca con un gesto veloce la portiera.
- Che fai? Non sali? -
Mi dice il ragazzo, un poco spazientito.
Lo osservo. Ha un'ombra di barba, ma il viso gentile. Il look casual è più curato di quanto sembri, i jeans sono di marca, la camicia rivela la paperella brooksfield, e, sul polso della mano sinistra, brilla un rolex.
Salgo sull'auto. Una golf grigia, che, appena ho chiuso la portiera, parte rapida lungo la strada.
Mentre guida mi scruta con un'occhiata che sembra quasi un esame. Dal viso scende lungo il mio corpo fino alle gambe, quasi totalmente esposte dalla minigonna, che, sul sedile, è risalita ulteriormente. Poi torna a concentrarsi sulla guida, senza parlare.
Decido allora di provare a rompere il ghiaccio, forse è un timido, anche se non ne ha per nulla l'aspetto.
- Ciao, io sono Mary -

venerdì 17 agosto 2012



La Rossa

La pioggia scura, sporca e inquinata cadeva fitta e sottile sul parabrezza dell'auto. I tergicristalli ormai usurati stridevano nel loro ritmico, ipnotico incedere lungo il vetro. La fredda luce a led del lampione sotto cui eravamo parcheggiati illuminava appena l'interno del nostro abitacolo in quella plumbea notte di settembre.
Carlo, seduto al volante si era appena macchiato la divisa nera con una schizzata di maionese dal terzo tramezzino con cui si stava praticamente ingozzando. Io tornai a guardare, senza vedere, fuori dal finestrino le gocce che battevano sul freddo vetro contro cui la mia fronte era appoggiata. Mancavano ancora tre ore alla fine del turno, tre ore all'alba di un'ennesima nottata senza senso.
Erano ormai passati 5 mesi e 8 giorni da quando Elisabetta se n'era andata. Semplicemente ero rientrato a casa ed era sparita, insieme alle sue cose e anche diverse delle mie. A conti fatti non era stata una così grande idea portarmela a casa, ma era riuscita a farmi perdere la testa, e poi aveva un modo di scoparmi assolutamente irresistibile. Mi ero ritrovato innamorato perso senza accorgermene.
Non avevo più toccato una donna da allora, probabilmente non ero mai stato così a lungo senza godere, almeno da quando, ragazzino, avevo scoperto i primi piaceri della masturbazione.
Il microauricolare innestato dietro l'orecchio emise la nota pulsazione prima di una comunicazione dalla centrale, quindi la voce roca del maresciallo di guardia cancellò le immagini di Eli dalla mia mente.
- Auto 13, segnalate urla e rumori sospetti al terzo piano in via Umberto Bossi, civico 138, andate a controllare -

martedì 14 agosto 2012

La Biblioteca




LA BIBLIOTECA


Cammino silenzioso, distratto, sono entrato colto da improvvisa ispirazione, e forse anche per ripararmi dall'imminente temporale che si sta scatenando sulla città.
La biblioteca è antica, quasi vetusta, lunghi scaffali in legno scuro, odorosi di vecchio, di carta, di olio e cera per legno, ricolmi di libri di ogni genere, con un predominio di vecchi volumi.
Mi aggiro per le sale male illuminate, vuote, silenziose, i miei passi scricchiolano lievi sul parquet, quasi disturbando una strana sacralità del luogo, mi accosto ora ad uno scaffale, ora ad un altro, curiosando senza un preciso scopo.
Ecco una vecchia edizione della divina commedia, altri scritti di Dante, e Petrarca, poi la mia mano scivola sulla rilegatura de le fleur du mal, originale in francese di Baudelaire, e su Leopardi, e poi Voltaire fino a giungere su Borges, il libro di sabbia, e la biblioteca di babele. E' quasi un gesto automatico tirarlo verso di me con l'indice e sfilarlo dall'ordinata fila dei volumi, ed ecco improvviso mi appare un occhio bellissimo, verde, lucente come un mare calmo, e uno sguardo quasi sorpreso che mi fissa, dal lato opposto dello scaffale.
Uno sguardo dolcissimo, femminile, su cui mi soffermo a lungo, quasi ammaliato da un ipnosi ultraterrena. Finché un fortissimo tuono mi scuote e un rilucente lampo dalle alte e opache finestre contrasta lo spegnersi contemporaneo di tutte le luci del locale, lasciando tutta la biblioteca preda di un'oscurità intensa, interrotta solo dagli ormai frequenti lampi alle finestre. Quando però torno a fissare attraverso il piccolo spazio lasciato libero dal volume tolto vedo solo il vuoto, nessuna traccia dello sguardo, e della sua proprietaria.

lunedì 6 agosto 2012

Bianca




BIANCA



Un forte tuono scuote l'aria stessa con il suo fragore, destando dal sonno la ragazza. I suoi occhi sbattono piano mentre cerca di scacciare il torpore dalla mente, poi un secondo tuono, ancora più violento la fa sobbalzare mentre cerca invano di individuare qualcosa nella profonda oscurità in cui si trova. Alcuni brividi di freddo la scuotono leggermente ed è in questo momento che si rende conto di non avere assolutamente nulla addosso, niente abiti o gioielli. Dopo essersi stretta un po' le braccia con le mani, quasi a cercare il conforto di un abbraccio, viene scossa dall'ennesimo tuono mentre la sua mente inizia finalmente a cercare di comprendere cosa le sta accadendo.

Sotto di lei sente la dolce ruvidezza di un tappeto sul quale era addormentata. L'oscurità intorno è totale e rende inutile il suo sforzo di distinguere qualche particolare del luogo che la circonda. Il respiro si fa più rapido e i brividi aumentano, nonostante la temperatura non sia fredda. Infine l'unica soluzione per cercare di fermare questi tremiti è sedersi accucciata e stringersi le gambe tra le braccia. Una piccola lacrima di paura e tensione le solca la liscia guancia scivolando fino all'angolo del labbro, per essere poi inconsciamente raccolta dalla lingua. Iil sapore salato e fresco ha il potere di riportare un poco di calma nella mente della giovane, che comincia freneticamente a lavorare per cercare di scoprire di più del luogo in cui si trova.

Alcuni forzati, lunghi respiri profondi riportano la calma sulla sua pelle, quindi il suo viso inizia nuovamente a girare intorno, purtroppo senza risultato perché l'oscurità è sempre totale. Cerca quindi di tendere l'orecchio per provare a sentire eventuali rumori, ma l'unico suono veramente presente è il tuono che periodicamente la fa sussultare, oltre a quello che sembra rumore di vento che scuote cime di alberi.

I respiri profondi le avvicinano, oltre al profumo del suo corpo, anche altri lievi odori, che ora cerca razionalmente di distinguere. Il primo, più forte, è di legno, probabilmente incerato, poi un vago sentore di chiuso, infine una strana essenza profumata che però non riesce a identificare.

domenica 5 agosto 2012



Walking Dead



Giorno da 1 a 3.
L'orda degli Zombie non ci da tregua. Sono già tre giorni che lottiamo, fuggendo dal morbo che attanaglia la città, e probabilmente il globo intero. Del gruppo originale siamo sopravvissuti solo in sei, esclusa Anna naturalmente.

Solo quattro giorni fa eravamo diciotto. Una cena tra vecchi compagni di liceo come si organizzava tutti gli anni, solo che questa volta è stata decisamente spaventosa. Avevamo mangiato solo l'antipasto, un misto mare con un ostrica dal sapore decisamente troppo metallico, quando nella sala principale del ristorante giapponese “Sotto il Vulcano“ è scoppiato il finimondo. Quelli che sembravano un gruppo di pazzi piombati nel mezzo della sala si erano poi rivelati veri morti viventi, che avevano assalito a graffi e morsi avventori e camerieri. Tutto è divenuto un caos totale e ho visto cadere diversi vecchi compagni sotto le loro fauci voraci.

Uno si è gettato su di me. Ho maledetto le bacchette usate per mangiare, avessi avuto almeno un bel coltello tra le mani! Con un tuffo sul tavolo sono riuscito a sfuggirgli, rimediando solo uno strappo sui jeans nuovi. Al mio posto si è però mangiato Ferrari. Quel secchione mi stava sulle palle da vent'anni, ma non è stata comunque una gran rivincita vedere la sua faccia dilaniata dai denti del morto vivente. Anni e anni di film e giochi al pc mi avevano però preparato per situazioni di questo tipo, così ho preso in mano la situazione radunando a spintoni e urla sette compagni ancora illesi ma imbambolati, spingendoli verso le cucine.

Avevo due cose in mente, impadronirmi delle due Katane appese incrociate sulla parete di fondo e cercare una via d'uscita secondaria per evitare il carnaio all'ingresso. Sono riuscito bene in entrambe. Ho preso le due spade e, impugnata la Katana con il manico rosso, ho messo l'altra in mano a Mario, che tra tutti mi sembrava il meno frastornato. Oltrepassata la porta della cucina, siamo riusciti a chiuderla, bloccandola alle nostre spalle con un grande carrello portavivande. Purtroppo ci siamo ritrovati solo in sei, Giovanni era sparito lungo il tragitto. Li ho fatti muovere rapidi verso il fondo, la porta non avrebbe resistito a lungo, facendo in modo che tutti, anche le tre donne, impugnassero un paio di mannaie e alcuni coltelli lunghi trovati sui banchi da lavoro.

lunedì 23 luglio 2012



SENZA RETE...





Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno,
giuro che lo farò,
e oltre l'azzurro della tenda nell'azzurro io volerò.



La voce di De Gregori risuonò nella sua mente, dolce, calda e morbida come una coperta di cachemire in una notte invernale. La mente umana è qualcosa di così infinitamente prodigioso, consente davvero di evadere la realtà rifugiandosi in alieni, unici e indissolubili mondi. Così è decisamente più reale il suo correre lungo un infinito verde prato in discesa. L'aria fresca sul viso, sottili fili aguzzi d'erba nuova che solleticano e pungono le delicate piante dei piedi. L'odore della campagna umida di rugiada primaverile.

I grugniti animaleschi di Fetore non possono cancellare la musica nelle sue orecchie. Non ha mai voluto imparare i nomi di medici, infermieri e inservienti, ognuno di loro però ha un nome dell'anima nella sua mente, qualcosa di indelebile. Quello il cui duro, piccolo e prepotente cazzo si sta facendo strada incurante dentro di lei è da sempre Fetore. Il Nome, nomen omen, le balzò immediato tra le labbra, causa l'odore acre di disinfettante e ammoniaca che emanavano le sue sottili, rudi mani cattive, mentre la spingeva nella sua futura stanza insieme a Orrore.

Orrore era l'altro inserviente notturno, un volto che sarebbe stato perfetto per il peggior Dario Argento. Non aveva ancora deciso chi odiava di più tra i due, ma avrebbe così volentieri sparso in un fosso i resti dei loro corpi.

Finalmente finì. Venne dentro di lei con un grugnito più forte e lungo, abbandonando per diversi lunghissimi attimi il suo peso sul suo esile torace, facendole quasi mancare il respiro. Dopo un tempo che le parve infinito, durante il quale riuscì a valicare di corsa la verde valle e risalire lungo l'opposta collina, finalmente si scostò e uscì da dentro di lei. Il suo viso pallido, gli occhi azzurri, bellissimi, eppure così vuoti dentro la fissarono per qualche istante. Un sorriso odioso percorse le sue labbra e la sua lingua le solcò il volto, lenta, dal mento alla fronte, passando su labbra e occhi, che lei serrò forti.

mercoledì 18 luglio 2012

Il Gioco




Il Gioco

- Faccia tre copie della lettera, quindi le invii ai clienti Signorina -
L'avvocato Damiani terminò di dettare alla segretaria. Si soffermo poi a osservarla meglio. La ragazza era giovane, magra, forse troppo pensava. In fondo aveva in realtà una predilezione per le donne più generose, mediterranee. Francesca era invece quasi androgina, alta, praticamente priva di seno, capelli neri molto corti e occhiali sottilmente rettangolari che davano un'aria insieme seria e provocante al suo viso affilato.

Lei appoggiò la penna sul blocco per appunti poggiato sulle sue ginocchia. Le sue gambe erano unite, strette insieme a formare un angolo perfetto, la gonna abbastanza corta da far immaginare la parte alta della coscia, ma non abbastanza da diventare volgare. I tacchi alti e sottili consentivano alle ginocchia di essere esattamente alla stessa altezza del sedere, stretto, alto e muscoloso, Tipico di chi pratica molto sport.

Dopo molti secondi di silenzio e attesa la ragazza si leccò e morse insieme lievemente il labbro inferiore, quindi parlò piano.

- Ha ancora bisogno di me dottore? Oppure posso andare? -