SETE
PERVERSA
Lievi , profondi
ansiti risuonano ritmici nel silenzio della stanza, seguendo in
perfetta armonia il tempo lento e sinuoso del movimento sussultorio
del suo corpo sopra il mio.
Ho sempre amato
questa posizione, è l'unica che mi consente di mantenere una
sufficiente lucidità mentale da dedicarmi all'osservazione, che mi
consente di miscelare al piacere della penetrazione quello puramente
mentale dello svelare, valutare e godere dei movimenti, della totale
libertà della donna nell'atto.
E' veramente
meraviglioso guardare così il suo corpo, che si inarca ad ogni
sussulto, i suoi occhi che si chiudono mentre lei si perde
nell'estasi, inoltrandosi in un mondo personale fatto di solo
piacere, soli stimoli sensoriali ed elettricità pura, le sue labbra
che trattengono a fatica il lamento, i muscoli delle cosce che si
irrigidiscono in armonia con quelli vaginali stringendomi
contemporaneamente inguine e corpo, come una doppia matrioska umana.
La sento ora
avvicinarsi sempre di più al culmine mentre osservo la sua vena del
collo pulsare, la mia mente si sintonizza quasi con lo scorrere
impetuoso del suo sangue e così i miei pensieri tornano torbidi e
perversi.
Non è stato certo
facile avvicinare Giuditta, l'ispettore Barbato, ovvero la
superpoliziotta, come l'ha soprannominata una delle tante riviste
scandalistiche dopo un'ennesima intervista sulle indagini sul
"vampiro".
Fin dalla sua prima
apparizione al tg5 ho sentito che sarebbe stata mia, e dire che era
tutt'altro che attraente, almeno in apparenza, così piccola,
grassottella, agitata, appena uscita dalla scena del terzo crudele
omicidio, senza trucco e con indosso un semplice e per nulla sexy
tailleur grigio.
Ma gli occhi, e
quelle labbra mi avevano ipnotizzato, quel suo crescendo di rabbia
che a stento tratteneva, quel malcelato orrore per lo spettacolo
appena visto, e insieme una sottile, quasi indistinguibile
eccitazione che ero certo di aver percepito nel profondo dei suoi
occhi verdi.
Ora è giunto il
momento, i suoi movimenti si fanno più rapidi, frequenti come i suoi
sospiri, sento le sue intime labbra contrarsi spasmodicamente intorno
al mio pene eretto, quindi un trattenuto grido liberatorio, quasi un
grugnito animalesco segna il suo culmine, mentre inconsapevole mi
graffia lievemente le spalle con le corte, piccole, curate unghie.
Le sorrido, e sono
certo che se ora mi guardasse profondamente negli occhi leggerebbe
senza dubbio i miei pensieri, ciò che mi ha condotto qui, che mi ha
spinto così visceralmente nel suo letto, ma i suoi occhi restano
chiusi mentre si abbandona sul mio corpo, mentre mi stringe forte tra
le braccia, ansimando lenta al mio orecchio, calmando lenta il ritmo
sfrenato del cuore, mentre le mie labbra seguono il contorno del suo
collo e la mia lingua scorre forte sulle vene pulsanti.
Ero riuscito a
vederla la prima volta dopo il quarto omicidio, avevo atteso a lungo,
girovagando in via Freguglia, intorno alla procura, finché
finalmente l'avevo vista uscire circondata da diversi agenti di
polizia, non era stato difficile mantenere la moto a distanza di
sicurezza per non essere notato fino a casa sua.
Quindi avevo atteso
e studiato le sue abitudini per giorni.
Il primo incontro
casuale era stato nel supermercato all'angolo, anche gli ispettori
fanno la spesa come i comuni mortali in fondo, la incrocia alcune
volte lungo gli scaffali, quindi la urtai casualmente mentre prendeva
un pacco gigante di assorbenti, che naturalmente le caddero di mano,
quindi mi chinai rapido a raccoglierli, porgendoli con un sorriso,
guardandola profondamente negli occhi e osservandola arrossire con
infinito piacere.
Salutai e mi
allontanai senza voltarmi.
Non le concedo il
tempo di rilassarsi troppo, scivolo fuori dal suo ventre ancora umido
e sensibile strappandole un gemito di rammarico, quindi inizio ad
accarezzarle la schiena, a baciare il suo collo, la sua nuca nei
punti più sensibili strappandole tremiti di piacere, seguendo poi
con la lingua il rilievo della sua colonna vertebrale, giù, sempre
più giù, fino a lambire le labbra arrossate e sensibili,
stuzzicando l'eccitato clitoride quasi al limite della sopportazione.
Sento il suo intimo
odore, il suo sapore che mi invade la bocca, calmando un pò la
smania ormai incontrollabile di assaggiarla, mentre sapientemente la
conduco ad un nuovo travolgente orgasmo.
Povera piccola,
dolce, innocente ispettore, doveva essere molto tempo che non godeva
così. Ho percepito subito il suo desiderio, fin da quel momento in
cui l'ho afferrata per le mani, stretta a me e baciata senza
preavviso.
Non credo si
aspettasse di dover saltare così tutti i classici inutili e borghesi
preamboli, ma non ha resistito che per un breve attimo, prima di
iniziare a lasciarsi andare, a sprofondare nel desiderio che
sublimava da ogni fibra del suo essere.
La incontrai la
seconda volta dopo la sesta vittima, al Nottingham, un paradiso per i
cocktail e per chi, come me sa apprezzare il piacere di lasciarsi
catturare, abbracciare, rapire dalla fatina verde dell'assenzio.
Le avevo lasciato un
paio di volte i depliant pubblicitari del locale nella cassetta della
posta, e finalmente aveva ceduto alla curiosità.
Le due amiche con
cui era entrata non mi preoccuparono, feci in modo che questa volta
fosse lei ad urtarmi e rovesciai un po' di cocktail sul pavimento,
quindi la guardai nuovamente profondamente negli occhi, poi sorrisi
dicendole
- ora siamo pari -
Mi accorsi che mi
aveva riconosciuto, quindi iniziammo a parlare, le offri da bere e ci
scambiammo il numero di cellulare.
Ora è completamente
rilassata, distesa, e seguo il suo profilo con un dito, quindi mi
allontano solo pochi secondi, per frugare rapido nella tasca dei
jeans, dopodiché mi stendo lieve su di lei, le stringo un polso
piano, tra le dita, avvicinandolo alla testata di ferro battuto del
suo letto.
La mia bocca
stuzzica il suo collo a nord-ovest, quel sensibile, dolcissimo punto
che si trova sotto quel ciuffetto di capelli leggeri leggeri proprio
dietro all'orecchio, quindi le sussurro
- non aver timore,
lasciati andare, ti piacerà, ne sono certo -
La sento irrigidirsi
un poco, però non resiste, avvicino il suo polso destro alle sbarre
metalliche, quindi abilmente e rapidamente lo lego con il nastro di
raso nero che avevo portato con me, dopodiché unisco ad esso il suo
polso sinistro, bloccandola saldamente.
La sollevo quindi
con dolce fermezza in ginocchio, mentre con le mani scendo ad
accarezzarle i seni, a stuzzicare tra le dita i capezzoli duri,
eccitati, sentendo intenso, nella mia mano sinistra, il pulsare
accelerato del suo cuore.
Attesi solo due
giorni per invitarla a cena, ero certo avrebbe accettato, quando
aveva scoperto che ero proprio io l'autore del fumetto horror che
leggeva sempre il suo interesse era cresciuto a dismisura.
Le parlai a lungo
del mio lavoro, della mia passione per il gotico, mentre non mancavo
di versarle di continuo l'ottimo greco di tufo che avevo ordinato per
accompagnare la cena, e non smettevo di fissare il profondo dei suoi
occhi verdi.
Occhi che svelavano
un profondo e immenso pozzo di emozioni desiderate, che attendeva
solo di essere colmato di passione.
Infine iniziai a
chiederle del suo lavoro, e piano piano si lasciò andare.
Il sottile, lento
ruscello dei suoi racconti iniziali si trasformò presto in un fiume
in piena, un onda dilagante di orrore e perversione.
Mi parlò a lungo
del vampiro, l'inafferrabile omicida seriale che stava terrorizzando
Milano da ormai cinque mesi.
E dopo aver
raggiunto la metà della seconda bottiglia iniziò a scendere in
particolari., rivivendo l'orrore che aveva provato nel trovare i
corpi di quelle splendide, giovani ragazze, seviziate, torturate ed
uccise dal mostro.
Di come avessero poi
sempre rinvenuto un bicchiere di cristallo baccarat, con abbondanti
tracce del sangue delle vittime, segno del vizio, della sete
dell'omicida.
Stringo ora forte le
dita sul capezzolo, trattiene a fatica un urlo, inarca la schiena, ma
non mi chiede di smettere, so che le piace, lo sento e lo vedo dai
movimenti del suo bacino, dal profumo della sua eccitazione che si fa
sempre più penetrante.
La mia mano destra
si insinua tra le sue gambe, le dita immerse nel lago del suo
piacere, e la penetro, con uno, due infine tre dita senza alcuna
fatica.
Poi senza preavviso
tolgo la mano, e inizio a sculacciarla, colpi secchi, lenti, dal
basso; prima da un lato, poi dall'altro, fino a sentire i suoi
gemiti, un misto di dolore ed eccitazione che la travolgono.
Le mie dita
penetrano nuovamente in lei, a fondo, sempre più a fondo e sempre
più rapide, conducendola vicino, così vicino ad un nuovo orgasmo,
quindi mi fermo di nuovo.
Poi mi inginocchio
dietro di lei, la penetro così, senza preavviso, brutalmente, solo
pochi, lunghi e profondi colpi, quindi mi appoggio fermo, pulsante
alla sua piccola, stretta porta e con una lentissima, costante spinta
entro in lei.
La possiedo così,
con lunghi, profondi ritmici colpi, fino a sentire i nostri sudori
mescolarsi, fino a sentire i suoi lamenti divenire grugniti e ansiti,
fino a sentirmi le gambe e la schiena quasi intorpiditi per lo
sforzo, infine con un grido liberatorio vengo copiosamente dentro di
lei.
Giovedì avevamo
cenato nuovamente insieme, ormai avevamo stabilito una profonda
complicità, l'avevo condotta lentamente e inesorabilmente a liberare
la sua mente a me, a scavare nel profondo delle sue segrete e
inconfessate fantasie, ad esaminare i turbamenti che il suo lavoro e
soprattutto questa efferata e inarrestabile catena di delitti
provocavano nel suo animo.
Ora sapevo, avevo
compreso quanto desiderasse in verità certe emozioni, quanto orrore
ed eccitazione si mescolassero in lei osservando, pensando a quei
corpi di donna legati e seviziati che doveva così freddamente
esaminare.
Terminata la cena
l'avevo accompagnata a casa, e per la prima volta mi aveva chiesto se
volessi salire da lei a bere ancora qualcosa, fu delizioso vedere la
delusione nei suoi occhi quando le dissi che proprio non potevo, che
dovevo assolutamente terminare un'ultima tavola da consegnare la
mattina successiva.
Prima però che
potesse dire altro le pesi una mano, avvicinai il viso al suo, le
diedi un lieve bacio sulla guancia e dissi
- domani sera, sarò
qui da te alle dieci, aspettami e sarà una serata indimenticabile, è
una promessa -
Mi sfilo dal suo
corpo, ancora eccitato, anche dopo l'orgasmo, come sempre.
Lei si accascia sul
letto, le mani ancora tese, legate alla spalliera, esausta.
Con la mano se
sfioro un piede, risalendo lento con la punta delle dita, percorro il
suo corpo guardandola, il polpaccio, l'incavo del ginocchio, la
coscia e su con un paio di spirali circolari sul gluteo.
Poi risalgo lungo la
spina dorsale, sentendola tremare al mio tocco, fino al collo, le
stringo un poco il collo tra le dita della mano, come per un
massaggio, quindi la mia mano compie ancora più lenta il percorso
inverso.
Ora accarezzo, quasi
giocando, il dorso dei suoi piedi e le sue piccole morbide dita,
mentre ho prelevato una seconda, lunga striscia di raso.
Improvvisamente le
afferro entrambi i piedi tirandoli a me, indietro, allungando il suo
corpo sul letto fino a tenderle le braccia, legate, in avanti, quindi
rapido ed esperto lego strettamente insieme le sue caviglie e le
fisso al fondo del letto.
Sento in lei un poco
di tensione, forse sorpresa, ma non protesta, si è ormai affidata a
me totalmente.
Quindi mi avvicino
alla sua testa, volto il viso verso di me, le sorrido, un sorriso di
piacere, soddisfazione, quasi gioia mi pervade.
Avvicino le mie
labbra alle sue e la bacio, un ultimo splendido appassionato bacio,
infine le mordo lievemente il labbro inferiore, sento il lieve sapore
del sangue in bocca, quindi mi allontano dal suo viso e le introduco
un gag-ball in bocca, fissandolo poi saldo sulla nuca.
Suonai il campanello
alle dieci meno un quarto di venerdì, sentii una certa agitazione
nella sua voce quando mi disse di salire un attimo, perché non era
ancora pronta.
Mi aprì la porta
con gli occhi che rilucevano di un coacervo di emozioni, mi guardò,
a lungo, poi disse solo:
- hai sentito la tv
oggi? -
Risposi
semplicemente - sì -
Mi fece entrare, e
come un fiume in piena le parole traboccarono da lei:
- quel bastardo ne
ha massacrata un'altra questa notte, come possono esistere esseri
così disumani, così perversi?
Non dissi nulla,
lasciai semplicemente che continuasse a parlare.
- era solo una
ragazzina, e dev'essere morta in modo orribile, non riuscirò a
dimenticare quegli occhi sbarrati, atterriti, e tutti quei tagli,
sottili e profondi, ovunque.
E quel maledetto
bicchiere, appoggiato a fianco alla sua testa, sul tavolo dove l'ha
legata e uccisa -
Non la lasciai
continuare, semplicemente l'afferrai, la strinsi e la baciai, e lei
cedette, come fanno tutte del resto.
Ora vedo un barlume
di paura nei suoi occhi, ma ancora surclassata dalla curiosità,
dalle mille domande e pensieri che sicuramente stanno vorticando
impazziti nella sua mente.
Certo, anche questo
l'ha sfiorata, ma solo come uno dei molti, e non l'ha creduto vero
nemmeno un istante.
Prendo la mia borsa,
credo nemmeno l'avesse notata quando sono arrivato, la appoggio sul
letto, e vedo che la osserva indagatrice.
Poi sollevo la
poltroncina che tiene nell'angolo della camera e l'avvicino,
sedendomi proprio a fianco del letto, tutto senza mai distogliere i
miei occhi dai suoi, e senza smettere di sorriderle.
Lento apro la borsa,
estraggo un piccolo astuccio in stoffa rossa, che appoggio sul
comodino, quindi una scatola.
Mi inclino verso di
lei, apro la scatola ed estraggo uno scintillante, trasparente sonoro
e splendido calice di cristallo, per gli esperti un calice da barolo,
per me la perfezione per soddisfare la mia inesauribile sete.
Ora finalmente ha
davvero compreso, i suoi occhi divengono vitrei di orrore, le sue
membra iniziano a dibattersi mentre cerca inutilmente di urlare
attraverso la gommosa, rossa pallina che le ho introdotto tra le
labbra.
La prima volta fu
quasi casuale, eppure vedere quel limpido, scarlatto spruzzo che
eruttava dal quel corpo stupendo fu ipnotico, sicuramente ero
predestinato, era già parte di me, ma me ne accorsi solo in
quell'istante.
Prendere uno di quei
bicchieri bellissimi che rilucevano alla luce del lampadario sul
ripiano nobile della credenza fu istintivo, così come avvicinarlo al
suo collo così che il rosso nettare della vita lo colmasse
lentamente.
Quindi lo alzai al
cielo, brindando a lei, alla vita e alla morte.
Nella solitudine Dio
e il Diavolo erano venuti a farmi visita, sicuri di trovarmi, ma era
alla voce del secondo che avevo infine dato ascolto.
Così iniziai la mia
empia comunione, mi dissetai alla fonte della vita e sentii una
nuova, possente forza scorrere in me, e le parole di Milton presero
ad assumere profondi significati:
- quando la notte
ottenebra le strade, allora vagano i figli di Belial, colmi di vino e
d'insolenza -
Così conobbi il
piacere, l'assoluto inesprimibile piacere del dissetarmi alle anime,
alle vite altrui, il potere di un dio, ed insieme il dolore della
sete, che ogni volta diviene più intensa, insopprimibile.
E' incredibile
quando del semplice raso possa essere resistente se ripiegato più
volte su se stesso.
Osservare i suoi
inutili tremendi sforzi per liberarsi, per spezzare i legami è come
una musica, una demoniaca sinfonia di terrore, sì ormai sento la
paura come una melodia che entra in me, che nutre la mia passione.
Ma si sta facendo
tardi, il mio volo per Buenos Aires parte all'alba.
Certo questa volta
mi avrebbero identificato, troppe le tracce che mi collegano a lei,
ma non importa, non poteva esserci altra conclusione, dovevo
completare così il mio operato qui, ricomincerò a vivere la notte
lontano.
Apro l'astuccio,
liberando i sottili bisturi che scintillano alla luce della lampada
alogena, certo un pò mi dispiace non poter soddisfare a lungo con
lei i miei piaceri, ma è giusto così.
Giuditta è la mia
madonna, l'angelo sacrificale, la lascerò intatta, perfetta, tranne
per una piccola, sottile incisione.
Le tengo la testa
ferma con una mano, quindi il bisturi scivola morbido nel suo collo,
e il suo sangue inizia a zampillare copioso, spinto dalle feroci
pulsazioni del cuore affannato.
Avvicino rapido il
calice osservando, come sempre estasiato, il rosso nettare colmare
rapido il cristallo, mi accomodo quindi meglio in poltrona, placando
lentamente la mia sete infernale, senza distogliere i miei occhi dai
suoi, che da rabbiosi e folli, diventano piano piano sempre più
impotenti e terrorizzati.
Divenne poi ogni
volta successiva sempre più facile, la sete aumentò
progressivamente, così come i desideri, ogni volta il sangue doveva
contenere un'emozione più forte, più intensa per donarmi lo stesso
piacere, finché non la vidi, e compresi subito che sarebbe stato il
mio capolavoro.
Ogni istante di
preparazione divenne così eccitazione pura, piacere sfrenato.
L'ultimo sacrificio
era servito in pratica quasi esclusivamente a pervaderla così
intensamente di emozione in attesa del momento supremo.
Ormai ero divenuto
qualcosa di differente, di superiore, un vampiro mi avevano
soprannominato i giornali, era in verità simile a ciò che percepivo
di me, anche se inadeguato, mi sentivo per la verità come l'albatros
di Baudelaire, poeta delle nubi, degli abissi infernali, come
esiliato sulla terra tra gli schiamazzi, con immense ali di gigante
che mi impedivano di camminare.
Sorseggio lentamente
il suo sangue, mi nutro della sua vita che svanisce, ormai ha smesso
di dibattersi, stanca e rassegnata attende la fine guardandomi con
l'odio più profondo mai visto che scaturisce dal profondo di quei
bellissimi occhi verdi, che stanno però velandosi sempre più.
Termino il
bicchiere, un sottile rivolo rosso cola sull'angolo del mio labbro,
lo raccolgo con la lingua, socchiudo gli occhi, assaporo ancora il
piacere del potere assoluto, quindi avvicino il viso al suo, gli
occhi così vicini ai suoi, cerca di dire qualcosa ma i suoni sono
flebili e intelligibili.
Poso il calice, le
sfioro il collo con la mano, sollevando lentamente verso di me il suo
viso, quindi con un sorriso le lascio il mio ultimo saluto:
- gaudeamus igitur,
venit mors velociter, rapit nos atrociter, nemini parcetur -
La fine giunge,
lasciandomi come sempre preda di uno stato di ebbrezza, di estasi,
solo quando uccido mi sento veramente pienamente vivo.
Quindi mi alzo, vado
in bagno a sistemarmi, mi rivesto, raccolgo le mie cose, lasciando
come sempre il calice, rivolgo un ultimo sguardo, un sorriso e un
cenno al mio ultimo piacere, quindi esco dalla casa, chiudendo a
chiave la porta.
Quando trasferii
tutto il mio denaro su quel conto cifrato lussemburghese fu quasi
divertente, non pensavo fosse in fondo così facile.
Avevo ormai venduto
ogni immobile e ben poco di ciò che sarebbe rimasto a Milano mi
sarebbe mancato, in fondo avrei avuto con me tutto ciò che mi
occorreva, tempo, fantasia e un nuovo mondo a cui attingere.
Avevo programmato
tutto pazientemente, un volo diretto per l'Argentina, un paio di
passaporti falsi che mi erano costati notevolmente ma con cui avrei
potuto passare rapidamente in auto prima in Uruguay e poi in Brasile,
non mi avrebbero trovato facilmente, e laggiù con il mio denaro la
vita sarebbe stata un paradiso.
Come Icaro avevo
desiderato un'intima conoscenza del sole, del calore del potere
divino, che importava il rischio di bruciarsi, nel mare infinito che
mi avrebbe atteso sotto avrei potuto rinfrescarmi in eterno.
Esco dal palazzo,
l'aria notturna è fresca, sento ancora in me il suo profumo, l'odore
del sangue e della paura che mi elettrizza, sono ormai davvero una
creatura della notte, dell'oscurità.
Mi avvio a piedi, i
bagagli sono già in aeroporto, prenderò un taxi un paio di isolati
più in là.
Passo accanto ad un
cassonetto dei rifiuti e vi lancio le sue chiavi di casa, seguite poi
dalle mie, allargo poi le braccia e un urlo liberatorio mi prorompe
dai polmoni, la notte è mia.
Mentre cammino mi
accorgo di una figura che procede accanto a me, solitaria sull'altro
lato della strada deserta, mi fermo ad osservare, è una ragazza, che
come me si è fermata.
Giovane direi, alta,
slanciata con capelli nerissimi e corti, e una di queste minigonne
moderne che lasciano ben poco spazio all'immaginazione.
Resta immobile ad
osservarmi, io mi avvicino.
E' quasi interamente
vestita di nero, con numerosi piercing, mi osserva sorridendo, un pò
giovane, e troppo bella per una prostituta, penso.
Ora è davanti a me,
continua a sorridere, con il collo lievemente piegato a destra, come
certe espressioni dei gatti incuriositi, io non parlo, le sorrido, e
intanto accarezzo il coltello che tengo sempre nella tasca del
cappotto, chissà, forse è il destino che l'ha inviata qui,.
Poi lei si avvicina,
mi abbraccia, e mi accarezza la schiena, sento le sue unghie sfregare
sulla stoffa, la vedo leccarsi per un attimo il labbro superiore, un
espressione di pura lussuria le illumina lo sguardo.
- e così tu sei il
cosiddetto vampiro -
Dice, lasciandomi
attonito.
- sono mesi che ti
cerco, che ti cerchiamo in verità, hai creato un notevole scompiglio
sai, ma ora avrò una splendida ricompensa per averti trovato -
Stringo il coltello
tra le dita, ma l'altra sua mano si posa immediatamente sul mio
fianco, bloccandomi il polso nella tasca, faccio forza, eppure nulla,
quel braccio così sottile, mi tiene fermo come fosse di ferro.
Infine la vedo
sorridere, un sorriso così simile al mio, forse persino più
crudele, e l'ultima cosa che riesco a vedere, sono due canini
estremamente appuntiti che brillano bianchi alla luce della luna
dalla sua bocca spalancata.
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