GULFORA
Il sole era tramontato ormai da diverse ore ma la calda notte di inizio estate era illuminata, oltre che dalle lucenti stelle che ricoprivano il cielo totalmente sgombro da nubi, dai candidi dischi delle lune. La grande Isil era in pieno plenilunio, mentre la piccola Ansil avrebbe raggiunto il suo massimo splendore in poche notti.
Le ultime braci del fuoco usato per cuocere la cena stavano lentamente spegnendosi. Due degli uomini si erano già assopiti lì accanto, riparati dietro due mantelletti a ruote posizionati a punta di freccia verso il declivio minore della verde collina, la cui cima sovrastavano.
Degli altri due presenti, uno, la cui croce dorata sulla cappa viola indicava chiaramente la posizione di comandante, si trovava seduto oltre il fuoco, con la schiena appoggiata al tronco morto di un albero annerito da qualche passato fulmine. Al suo fianco erano appoggiate al terreno una corta spada e una balestra pesante, la cui nera freccia incoccata rifletteva lievemente i raggi lunari.
In grembo aveva un lungo, ritorto corno da segnalazione, rivestito da lamelle d'argento e decorato al centro con l'ippogrifo rampante incoronato, lo stesso simbolo che contrassegnava le cappe a rombi viola e verdi dei tre armigeri, che tormentava accarezzandolo nervosamente con la sua mano destra, ornata da un grande anello nobiliare,
L'ultimo era in piedi, appena oltre il limite del piccolo avamposto di guardia. Si appoggiava ad una lunga, pesante alabarda mentre scrutava vigile la valle sottostante, oltre il piccolo rado boschetto che cresceva lungo il lieve declivio della collina.